10 Feb 2024
 / The Message

Più Powell che COP28 - Transizione climatica

A dicembre si è svolto l’annuale incontro sulla transizione climatica. Le aspettative erano elevate: da una parte l’Europa che ribadiva il suo programma fit for 55, per ridurre del 55% le emissioni di gas serra entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990, dall’altra le promesse di USA e Cina che hanno trovato nel clima il loro punto d’incontro, promettendo entrambi di triplicare gli investimenti in rinnovabili entro il 2030.

La conferenza ha avuto inizio in decisa salita, con il presidente della riunione Al Jaber, nonché amministratore delegato di Adnoc, la compagnia petrolifera nazionale degli Emirati Arabi Uniti, che ha dichiarato come un mancato utilizzo del petrolio riporterebbe il mondo nelle caverne e sottolineato che non ci sia una scienza che dimostri come l’eliminazione graduale delle fonti fossili possa contenere il riscaldamento globale.

Anche la proclamazione finale non è stata un coro unanime a favore del clima: i lavori anziché terminare a mezzogiorno si sono protratti fino alle tre del mattino del giorno dopo, perché l’uscita programmata dalle fonti fossili (‘phase out’) voluta dai Paesi più green non era di gradimento ai paesi produttori di petrolio e organizzatori della conferenza. Alla fine si è giunti a una via di mezzo, a una transizione fuori dalle fonti fossili (“transition away”), che lascia spazio a dubbi e perplessità circa probabili slittamenti dei Paesi più recalcitranti. Se non altro qualcuno vede il bicchiere mezzo pieno, sottolineando come questa sia la prima volta che in una COP venga menzionata in qualche forma l’uscita dalle fonti fossili.

Lo stesso ottimismo ha circondato alcune iniziative, quali lo stanziamento di fondi da parte di sei delle maggiori compagnie petrolifere per la riduzione delle emissioni di metano entro il 2030, la promessa di triplicare gli investimenti e raddoppiare l’efficienza delle energie rinnovabili sempre entro lo stesso anno e la firma della Carta Globale per la decarbonizzazione, con la quale 50 produttori di fonti fossili si impegnano a ridurre a zero le emissioni entro il 2050. Per quest’ultimo traguardo va detto che non sono previsti limiti intermedi né in termini tempo né di riduzione, nessuna verifica quantitativa che possa confortare sul percorso intrapreso dalle società, né sono previste sanzioni qualora qualcuna di esse non raggiunga il traguardo, perché si tratta pur sempre di un limite volontario, non obbligatorio.

Anche l’atomo ha avuto la sua consacrazione a energia pulita, dopo che 22 Paesi hanno promesso di triplicare la produzione di energia nucleare entro il 2050. Così questa fonte di energia è passata dall’essere bandita come non sostenibile dal Parlamento europeo nel 2020, a rientrare come fonte di transizione nella Tassonomia europea nel 2022 e a essere completamente sostenibile nella COP 28 del 2023, dato che parlare di transizione di una fonte che vedrà la sua produzione triplicare da qui al 2050 pare un controsenso. Il tutto con lo sfondo della guerra russo-ucraina e le minacce di attacchi alla centrale nucleare di Zaporizhzhia.

Ma tutte queste promesse e acclamazioni di risultati eccellenti, mai visti nelle COP precedenti, non hanno scalfito di una virgola il sentimento negativo che si è creato intorno alle energie rinnovabili. Al termine della conferenza, lo S&P Clean Energy segnava ancora un -30% da inizio anno e ha perso il 5% dal giorno dopo dell’inizio della conferenza fino alla sua chiusura. Insomma, gli investitori hanno creduto poco alle promesse fatte o hanno ritenuto che fossero vaghe e lontane nel tempo per dar loro qualche peso.

Di contro, la riunione della FED del 13 dicembre e il raggiungimento del pivot sui tassi di interesse, con un Powell più colomba delle aspettative in conferenza stampa, dove ha parlato di tre tagli dei tassi d’interesse nel 2024 contro i due attesi, ha messo le ali alle growth stocks, alle rinnovabili in particolare quali azioni più colpite durante l’anno; nei dieci giorni che rimanevano per l’anno 2023, l’indice delle rinnovabili di cui sopra ha messo a segno più del 10%.

Gli investitori sono dunque guidati sempre dal profitto, come dimostrano l’andamento delle società legate alle armi dopo gli ingenti investimenti governativi nella difesa dallo scoppio delle guerre in corso. Se i paesi, e l’Europa in particolare, volessero far confluire capitali privati nella sostenibilità, dovrebbero supportare i loro propositi con incentivi, investimenti e programmi chiari, armi a loro disposizione.

Visualizza il pdf
Contattaci
Contatti

21 Rue Aldringen
L-1118 Luxembourg
Tel: +352 27 85 47 1

Follow us
chevron-down